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Leonida Bombace
tra i fondatori Associazione NoCap
1969-2021

Yvan Sagnet, l’ingegnere-bracciante in lotta contro il neoschiavismo

Lug 11, 2024 | Blog NoCap, Servizi Stampa Italia

Dialogo col presidente di NoCap, l’associazione anti-caporalato nata con la mobillitazione dei braccianti a Nardò (Lecce). Dopo la tragica morte di Satnam Singh a Latina, questo camerunense di 39 anni, che ha iniziato a lavorare nei campi facendo lo studente al Politecnico di Torino, condivide i suoi sentimenti e dice che lottare per i diritti è un dovere di umanità.


Mi preoccupa chiamare Yvan Sagnet, il primo camerunense italiano a scioperare dai campi di pomodoro di Nardò (Lecce), dove lavorava come uno schiavo, sotto il controllo dei caporali. Fu lui a dar vita al primo sciopero di lavoratori stranieri in Italia. È questo l’evento che smuoverà l’opinione pubblica sul tema del caporalato. E da lì nascerà NoCap. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, lo ha nominato per questo “cavaliere al merito delle Repubblica”.

Devo chiedergli un giudizio dopo l’orribile fine di Satnam Singh, che non è morto per un incidente sul lavoro, benché gravissimo, essendosi tranciato un braccio, ma per essere stato gettato come spazzatura davanti alla sua casa, col braccio messo in una cassetta per la frutta, senza nessun soccorso immediato. Satnam, di origine indiana, lavorava come bracciante in un’azienda agricola di borgo Santa Maria, nella periferia di Latina.  È morto perché per qualcuno, la sua vita non aveva alcun valore.

Commozione ma non rancore

Mi risponde un uomo provato, dalla voce di ingegnere, di persona razionale, che a volte si ferma per la commozione e dal sottofondo di bambini che giocano; questo paradosso è proprio il tratto della sua personalità che mi colpisce… mi aspettavo un animo pieno di rancore, invece, con calma mi dice che «i primi giorni mi sono venuti anche i brividi perché è una vicenda che non lascia indifferenti: soprattutto per il trattamento al corpo della persona. Come sia possibile che una persona ormai indifesa… è vergognoso, qualifica chi l’ha fatto, quindi questa è una vicenda terribile».

Conoscendo un po’ la sua storia immagino che avrà visto tanti fatti terribili ma lui non cade mai nelle spiegazioni sociologiche e ritorna sempre alla persona: «Ogni volta c’è una rabbia e una indignazione ma ogni situazione è particolare perché purtroppo il contesto è questo e dietro a questa particolarità e complessità c’è sempre una carica di emozione. Quanto è accaduto a Satnam è ancora un altro tipo di situazione, veramente clamorosa: quello che ha fatto quel datore di lavoro è inammissibile! Le sue dichiarazioni (il datore di lavoro, Antonello Lovato, accusato di omissione di soccorso, violazione delle disposizioni in materia di lavoro irregolare e omicidio colposo, ndr) lasciano il tempo che trovano perché sarebbe stato meglio il silenzio: io uno così neanche lo guarderei in faccia».

La calma, la lucidità e la sproporzione con cui prova a elaborare un giudizio mi fanno chiedere a Yvan cosa lo muove, quale è la ragione per cui spende la sua vita per questa causa.

Io sono stato schiavo come lui

«C’è un vissuto: io sono stato come Satnam, sono passato da lì, questo fa la differenza cioè non sono cose che ho sentito  in televisione o letto sui giornali: quando sei stato uno schiavo di questo sistema tu capisci cosa significa e se nel mio caso, hai la fortuna di avere gli strumenti intellettuali e culturali per denunciare,  cerchi di dare una mano perché la nostra presenza su questa terra è fatta maggiormente di “dovere”: io per giustificare la mia presenza, il mio passaggio, ho pensato che dovevo fare qualcosa perché quello che ci anima stessa umanità è il non essere indifferenti e soprattutto devi metterti a disposizione, perché è nostro dovere, per la nostra umanità, per la nostra comunità, per quello che siamo e saremo».

L’ingiustizia e il dolore sono qualcosa che dobbiamo combattere tutti i giorni

Yvan Sagnet

Articolo di vita.it