Invisibili che diventano visibili solo dopo la loro morte. Questo era Satnam Singh, il 31enne indiano arrivato in Italia con la voglia di lavorare e provvedere al sostentamento suo e della sua famiglia. La crudeltà e la ferocia di coloro che hanno abbandonato il suo corpo mutilato senza prestare soccorso denotano – qualora ve ne fosse ancora bisogno – il carattere spietato dei caporali e di quegli agricoltori che sfruttano la forza lavoro, restando insensibili al disagio e alle estreme condizioni di lavoro a cui vengono sottoposti i tantissimi immigrati. Quanto accaduto non è un fatto isolato, perché sono ancora tante, troppe, le imprese agricole che fanno leva sulla vulnerabilità di coloro che sono alla ricerca di un lavoro per sopravvivere. Non persone ma braccia e corpi indistinti. Nulla di più!
La preghiera e la costernazione non possono consolare. Non consola sapere che si apriranno gli ennesimi tavoli tecnici, che ci saranno le ennesime riunioni, gli ennesimi studi di settore! Il fenomeno è già stato ampiamente analizzato. Le parole e i buoni propositi non bastano a frenare lo sfruttamento. Occorre che le istituzioni capiscano che il fenomeno è strutturale e va affrontato come tale mettendo in campo risorse per intervenire e scardinare le maglie in cui si insidia il caporalato. Servono trasporti sicuri, alloggi, permessi di soggiorno concessi nei tempi stabiliti dalla legge ma soprattutto contratti di lavoro in linea con quanto stabilito dalla normativa vigente che regola il lavoro stagionale agricolo.
Come definire il comportamento di chi ha permesso che ciò accadesse se non mafioso e omertoso? Non è una banale sintesi del problema è purtroppo una realtà che emerge sempre più. Ma veramente vogliano un’agricoltura intrisa di dolore e sofferenza? Perché il cibo che arriva sulle nostre tavole non ha il sapore dei diritti quanto della prevaricazione e dello sfruttamento. La qualità dei prodotti italiani deve essere inscindibile dalla sostenibilità sociale.