Caporalato, sfruttamento, lavoro nero. Perché è servita un’altra morte tremenda, quella di Satnam Singh, per parlare di un sistema che in Italia è strutturale? L’intervista a Yvan Sagnet
Satnam Singh è morto il 19 giugno all’ospedale San Camillo di Roma, dopo due giorni di agonia. Prima ha perso il braccio mentre lavorava nell’azienda agricola di Renzo Lovato a Latina, poi è stato lasciato come un sacco insanguinato davanti a casa. Poco distante, dentro una cassetta, il braccio mozzato. Aveva 31 anni. Stava raccogliendo i meloni. Nessuno ha chiamato i soccorsi prima di un’ora e mezza dall’incidente, un tempo, che secondo quanto riferiscono i medici, gli è stato probabilmente fatale perché ha perso molto sangue. Italia, 2024.
Tutto quello che è successo dopo è cronaca: le manifestazioni in strada con cinquemila persone davanti alla procura di Latina, i giorni di lutto indetti dal comune della città, il permesso di soggiorno concesso alla moglie di Satnam Singh ora che è rimasta vedova. Poi, l’indagine per caporalato che coinvolge da cinque anni l’azienda di Lovato. Renzo Lovato non è al momento indagato per la morte di Singh, a differenza del figlio Antonello Lovato. Le accuse sono di omicidio colposo, omissione di soccorso e violazione delle norme sulla sicurezza. Ma com’è possibile che un’azienda già sotto inchiesta per caporalato, per sfruttamento di manodopera straniera a pochi euro, senza riposi, ferie e con turni di lavoro illegali per il quantitativo di ore, possa continuare a far lavorare uomini e donne senza metterli in regola? Come può accadere, ancora oggi, in Italia?
È la domanda che rimbomba da giorni nella testa di Yvan Sagnet, presidente dell’associazione No Cap. Arrivato nel 2007 dal Camerun per studiare ingegneria al Politecnico di Torino, Sagnet ha incontrato sulla sua strada il caporalato vivendolo sulla sua pelle. Accadde nel 2011 quando perse la borsa di studio per un esame di informatica e in cerca di lavoro arrivò fino alle campagne pugliesi per la raccolta dei pomodori. Fu lì, che davanti a quelle condizioni disumane, organizzò il primo sciopero dei braccianti in Italia. E da quel momento la battaglia al caporalato è diventata la sua missione e il suo lavoro. «Quello che è successo a Satnam Sing è una vergogna. Non si può accettare, sono senza parole da giorni. Una disumanità crudele che dovrebbe essere devastante per ogni essere umano. Ma in questi tempi così difficili sembra che la sensibilità interessi a pochi».